È passato quasi un anno da quando il Coronavirus ha colpito il nostro territorio e sono già trascorsi 6 mesi da quando l’Italia si è vista costretta al lockdown.
Le corse frenetiche e disperate nei centri commerciali e negli ipermercati per fare scorte di derrate alimentari e altri generi di prima necessità.
Gli scaffali vuoti, le limitazioni su articoli e carrelli in modo da rendere disponibili le merci per quante più persone possibile e prodotti che fino al giorno prima costavano meno di niente, all’improvviso sono diventati molto più costosi.
Tutto questo è storia: sono momenti che abbiamo vissuto insieme e che speriamo non debbano ripetersi ancora.
Il sistema Shopping non cede neppure durante il lockdown: è boom di acquisti online
Tuttavia, nonostante fossimo chiusi in casa e molti di noi costretti alla cassa integrazione, il sistema shopping ha continuato a funzionare. Certo, forse in modo diverso e su articoli differenti ma comunque non si è fermato.
Così a sei mesi di distanza, grazie alle aziende che tracciano le abitudini e le modalità di acquisto degli italiani e che in quel periodo hanno continuato a raccogliere informazioni come Nielsen e GFK, è possibile avere un quadro di come sono cambiati i consumi dal lockdown ad oggi.
Tralasciando gli alimenti più richiesti come pasta, conserve, farine e lievito che non possono mancare nelle case di in un paese come l’Italia, i settori che maggiormente hanno visto moltiplicare le vendite sono quelli di detergenti ed igiene personale e tecnologia.
Alcol denaturato, prodotti per la pulizia e la disinfezione, guanti e termometri hanno raggiunto picchi di vendita che hanno sfiorato il +263,7% nel momento di chiusura totale e ancora adesso sono talmente richiesti da essere difficili da reperire nei negozi.
D’altronde abbiamo dovuto modificare la nostra routine di pulizia degli ambienti comuni come case, negozi e aziende su consiglio di medici e su consiglio dello Stato per tutelare nel miglior modo possibile la nostra salute riducendo al minimo le possibilità di contagio.
Cambiano le abitudini e cambiano le necessità: ecco come hanno reagito gli italiani al cambio netto post lockdown
Ma questa non è l’unica cosa a essere cambiata: infatti per cercare di mantenere il paese più attivo possibile e evitare una altrimenti certa crisi economica totale, moltissime aziende di diversi settori hanno dato la possibilità ai propri dipendenti di lavorare dalle proprie abitazioni, con le modalità di telelavoro e smart working.
Questo ha fatto sì che la necessità di ricreare nelle case delle vere e proprie zone ufficio abbia fatto aumentare le vendite del settore tecnologia e informatica: un vero e proprio boom di acquisti di articoli quali PC, computer portatili, tablet, webcam e monitor per permettere a tutti di lavorare da casa il più comodamente possibile.
Anche l’istruzione ha concorso a questo aumento delle vendite: la didattica a distanza ha infatti obbligato migliaia di famiglie ad acquistare PC e a migliorare i propri contratti con i gestori della rete internet per garantire lezioni online più fluide.
Questi articoli sono stati affiancati dall’acquisto di elettrodomestici per la conservazione del cibo come freezer aggiuntivi e pozzetti, e per la sua preparazione veloce come i forni a microonde: d’altronde si sa, quando si studia viene spesso voglia di “spizzicare” qualcosa.
Non c’è neppure il bisogno di spiegare che il grosso degli acquisti è stato fatto sulle diverse piattaforme di e-commerce esistenti, trasformando completamente le abitudini del popolo italiano che a differenza del resto degli europei rimane molto legato al tradizionale metodo di acquisto “a passeggio” nei negozi.
Amazon,tanto per nominarne uno, che è già un colosso a livello globale, ha visto decuplicare i propri introiti.
Cosa si preferisce acquistare a fine lockdown?
Tutta questa clausura e il suo relativo “shopping ai tempi della pandemia”, ha regalato un risvolto curioso del tutto inaspettato: i settori di abbigliamento e cosmesi hanno avuto perdite economiche ingenti, come se vestirsi e essere presentabili non fosse più necessario. Questo è accaduto anche se molti italiani hanno intrattenuto (e continuano a farlo) videochiamate tutti i giorni, più volte al giorno.
Ma la vera curiosità è che, grazie al lockdown, in molti sono riusciti a risparmiare tagliando i costi di carburante, cene e pranzi di lavoro fuori casa e altre attività legate al tempo libero. Ma questi risparmi sembrano essere volati via molto in fretta: sono moltissimi gli italiani che hanno acquistato beni di lusso non appena è stato possibile rimettere piede nei negozi, quasi come se fosse uno sfogo.
Così borse, orologi e gioielli sono diventati i must dello shopping post lockdown.
Questo shopping compulsivo post lockdown di beni che sono tutto tranne che di prima necessità, è la dimostrazione che nonostante si sia passato molto più tempo chiusi in casa, i nostri brand preferiti sono riusciti ad arrivare fino a noi senza sfruttare la tradizionale pubblicità fisica e puntando tutto sulla trasformazione digitale: in questo nostro articolo parliamo di come la digitalizzazione sia subentrata nel nostro quotidiano.
Marketing personalizzato e digital transformation a braccetto per il futuro dello shopping
Ma torniamo a noi.
La digital transformation, insieme a campagne marketing ben studiate, ha consolidato maggiormente il rapporto brand-consumatore, facendo fare un vero e proprio passo avanti nel marketing automation a moltissime aziende.
Raccogliendo dati su usi e costumi e analizzandoli è infatti stato possibile per i brand creare campagne pubblicitarie sempre più settoriali e mirate, fino quasi a cucirle su misura per ognuno di noi.
Questa corsa sfrenata alle migliori strategie di vendita portate avanti dai brand lascia spazio ad una riflessione interessante: nonostante la sensazione più o meno fastidiosa di sentirsi osservati, bisogna notare che le pubblicità prima considerate inutili o disallineate dai nostri interessi, che intasavano le nostre caselle di posta elettronica e disturbavano la riproduzione dei nostri video preferiti, ora sono quasi del tutto sparite.
Ci ritroviamo così a incontrare pubblicità di prodotti di cui davvero potremmo avere bisogno (più o meno reale che sia) e che probabilmente decideremo di acquistare.
Quindi ci si chiede: è così sbagliato questo modo di “fare marketing” personalizzato?
Non può quest’ultimo diventare un modo per risparmiare il tempo che altrimenti andrebbe perso nelle corsie dei negozi virtuali e non, a cercare l’articolo giusto per noi nel marasma di prodotti esistenti?
Sicuramente ognuno avrà un’opinione diversa, ma sarà interessante vedere se prima o poi qualche ente importante avrà voglia e risorse per analizzare anche questo dato: solo allora avremo la vera risposta del pubblico.
Articolo di Ilaria Calcagnolo
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