top of page

L’e-commerce e la minaccia per le imprese di vicinato

I mesi di pandemia hanno influito su molti aspetti della vita dei cittadini italiani, ma uno degli ambiti che hanno più risentito della pandemia è sicuramente quello del commercio.

Tra una restrizione e l’altra, oltre 190 mila negozi nelle zone rosse si sono visti costretti a chiudere. A questi si aggiungono altre 68 mila attività in Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna.

Questa chiusura di massa avviene poi in un periodo poco favorevole. Le attività hanno cominciato a chiudere infatti in concomitanza con date cardine per il commercio come quella del Black Friday e Cyber Monday e la loro chiusura si è estesa, con poche pause, per tutto il periodo natalizio.

Questa situazione ha messo a dura prova i negozi, ma ha allo stesso tempo beneficiato il commercio online. A causa delle restrizioni nei canali di vendita fisici i negozi online hanno infatti strappato ai negozi fisici circa 3,5 miliardi di euro.

Vediamo quindi una deriva del commercio al dettaglio a favore di un commercio fatto sul web, e per capirne le conseguenze dobbiamo contestualizzare e spiegare il concetto di e-commerce.

Come le attività si sono trasformate con l’e-commerce

Oggi le imprese, al passo con l’innovazione tecnologica, hanno a disposizione applicazioni che stanno trasformando, o meglio hanno già trasformato, il classico modo di acquistare beni e servizi. Con l’e-commerce si realizza la possibilità di concludere contratti senza la presenza simultanea delle parti in uno stesso luogo fisico tramite l’utilizzo di strumenti telematici e, in particolare, tramite l’accesso alla rete Internet e lo scambio di documenti informatici. Ciò consente alle imprese di commercializzare beni e servizi, di distribuire contenuti digitali e di effettuare operazioni finanziarie attraverso Internet, la rete aperta a cui tutti possono potenzialmente accedere.

Nonostante nell’immaginario collettivo il concetto di e-commerce venga rappresentato da Amazon, questo canale di vendita è importante anche per le imprese di “vicinato” che sempre di più, in particolare dopo il lockdown, hanno iniziato ad utilizzare le forme di commercio digitali.

Nonostante ciò, queste sono ancora lontane dall’avere quote di mercato paragonabili a quelle delle grandi piattaforme online: i primi venti siti web del commercio elettronico italiano totalizzano infatti il 71% del totale delle vendite, e i primi 200 il 95%.

A soffrire questa disparità sono in particolare i negozi di abbigliamento, calzature e accessori da sempre il forte del commercio italiano. Il rischio è che questa disparità condanni a morte definitivamente il settore del commercio così come lo conosciamo.

L’e-commerce è una minaccia?

In tema di disparità tra i negozi fisici e quelli online, è intervenuta lo scorso novembre Confesercenti:

“Il problema non è l’e-commerce di per sé, ma la necessità non più differibile di garantire un mercato realmente concorrenziale, nel rispetto del pluralismo distributivo. A maggior ragione nella situazione attuale, che vede le imprese di vicinato chiuse per scelta amministrativa, con un’ulteriore alterazione delle condizioni a danno delle attività più deboli ed in difficoltà.”

L’esposto di Confesercenti è stato presentato all’Antitrust, e prosegue segnalando un acuirsi dello squilibrio tra i negozi e gli e-commerce. Mentre i primi subiscono le chiusure dovute alle restrizioni per contrastare la pandemia, la vendita online opera in condizioni di monopolio.

shope closed

Si può quindi concludere dicendo che se da un lato i consumi e le produzioni italiane potrebbero beneficiare dello shopping online, dall’altro bisognerebbe fare i conti considerando un danno ingente per il commercio al dettaglio tradizionale, così come siamo sempre stati abituati a fruirne e a conoscerlo.

Incentivare la concorrenza


Limitare lo strapotere del sito di e-commerce Amazon e di altri giganti è difficile e sempre più consumatori scelgono internet per i loro acquisti soprattutto vista la situazione di emergenza dovuta alla pandemia.


C’è anche chi - e tra questi troviamo gli esponenti delle istituzioni e associazioni francesi - ha lanciato una campagna di boicottaggio contro il colosso americano dell’e-commerce.


Nel caso francese la campagna #NoelSansAmazon, ovvero Natale Senza Amazon, si è realizzata sotto forma di una petizione firmata, tra gli altri, dalla sindaca di Parigi Anne Hidalgo, deputati ecologisti e di sinistra, la Confecommercio d’oltralpe, il sindacato librai e Greenpeace. Tra le richieste, oltre al boicottaggio del colosso digitale, anche quella fatta al Governo per una normativa che elimini i vantaggi concorrenziali di Amazon e vieti la costruzione di nuovi centri di logistica.


L’Unione Nazionale Consumatori invece si concentra più sul problema che sulla fonte e si esprime così:

“I piccoli negozi vendano anche loro online. Lo fanno già le piccolissime botteghe. La soluzione al problema di uno squilibrio della concorrenza dovuto all’emergenza Covid e al lockdown non è tornare all’età della pietra, fare boicottaggi o limitare la possibilità dei consumatori di poter scegliere liberamente dove acquistare, anche se questo dovesse significare favorire colossi come Amazon. La concorrenza si fa aumentando l’offerta, non riducendola. Ecco perché è bene che tutti gli associati di Confcommercio e Confesercenti usino lo strumento delle vendite online per affrontare questa crisi”.

La soluzione quindi potrebbe non essere condurre una battaglia alla Davide e Golia contro i colossi dell’e-commerce, ma digitalizzarsi e aumentare l’offerta online al fine di ravvivare la concorrenza tra i grandi venditori e i piccoli commercianti.


Articolo di Angelo Rosace

bottom of page