Disegnare un logo resta uno dei momenti più esaltanti ma anche più ansiogeni nella fase di una startup aziendale.
Cromoterapia (studio dei colori), messaggi subliminali, font, indicazione commerciale, comunicazione del prodotto, identità storica o nazionale.
Spesso e volentieri ci perdiamo in una serie di considerazione che molte volte sono solo elucubrazioni inutili. Ovviamente è importante considerare i diversi aspetti fondamentali che il marketing richiede allo studio di una grafica pubblicitaria così mirata. Eppure, spesso, il segreto del successo è nascosto in quei cinque minuti di ispirazione dove un tratto o un evento si trasformano nell’idea eccezionale.
Esattamente. La storia di alcuni brand conferma questa teoria.
Vediamo qualche esempio:
Nike.
Il famoso “baffo” (quello che i più tradizionalisti chiamano ancora swoosh) è come tutti sanno l’identificazione iconografica e sintetizzata della Dea Nike di Samotracia.
Quindi se sentite qualcuno che testualmente pronuncia “Naiche”…bhè, sappiate che ha ragione lui. Il logo fu disegnato da una giovane studentessa di grafica che aveva bisogno di iniziare a fare pratica con qualche lavoretto.
Il talento della Portland State University Carolyn Davidson non aveva minimamente idea che avrebbe inventato uno dei marchi più riconoscibili della storia. La studentessa partì da un concetto. Da una filosofia.
Il logo era ovviamente semplice e a tratti impalpabile ma costrinse il fondatore e commissionante del lavoro Phil Knight a sposare una identità da sviluppare. Esatto.
Quella che nacque fu un’idea che fu l’evoluzione della neo fondata Blue Ribbon, facendo asserire allo stesso Knight: “Non lo amo particolarmente ma crescerà con me”. Possiamo dire che sono cresciuti parecchio. E il colosso ha un semplice baffo e la filosofia di una Dea che ancora identifica la brand identity che molti amano.
Non siete convinti? Pensate che sia solo un caso?
Ok
Adidas
Definire bello questo logo è davvero opinabile e del tutto soggettivo. Eppure Adidas ha segnato il mondo dell’atletica e dello stile sportivo a partire dagli anni 70. L’obiettivo del fondatore Adi Dassler era molto semplice: DISTINGUERSI.
Facile aspettarsi che inventasse qualcosa di molto elaborato e con chissà quale significato intrinseco. Sbagliato. Giocò proprio sulla semplicità e richiamando il concetto più antico del numero 3, disegnò tre strisce per alludere alla diversità dalla massa.
Geniale come provocazione e fu vincente proprio perché diverso da altri loghi vigenti in quegli anni. Dal 1949 ad oggi il logo ha subito parecchie rivisitazioni e si è adattato al sub messaggio aziendale offerto dalle campagne pubblicitarie di Adidas.
Infatti, il nuovo logo rappresenta una montagna stilizzata che sta a significare la sfida nel suo grado massimo. Quell’obbiettivo sempre più alto da raggiungere per vincere ogni competizione.
Non finisce qui. Avete presente Michael “Air” Jordan?
……
Ora siate onesti con me. Quanti di voi prima ancora di visualizzare nella mente il meraviglioso e biblico atleta che ha cambiato la faccia della pallacanestro moderna, ha invece visualizzato il suo famoso logo?
Ammettetelo, l’inconfondibile “Jumpman” vi è apparso senza nemmeno pensarci. Come fa un logo così elementare e semplice ad essere così d’impatto? A parte la campagna mediatica e il fatto che si tratti di sua maestà dei cieli, sappiate che non è mai stato fatto nessuno studio del logo per la sua realizzazione.
Olimpiadi 1984. Viene chiesto a un giovane MJ di saltare per uno scatto in posa aerea. Salto, palla in alto, gambe aperte e click! Bastò quello per realizzare l’idea di Peter Moore che aveva solo l’intenzione di allontanare l’icona dello sport dall’identità di Nike. Voi che dite? Ci sono riusciti?
E se a volte non ci si mette l’intuito, spesso arriva il caso a fare sì che una storia diventi la leggenda di un marchio.
Il tennista francese René Lacoste amava fare scommesse con il capitano della squadra.
Visto che la stampa, durante lo svolgimento della Coppa Davis, era incline soprannominarlo The Alligator, il campione pensò bene di giocarsi la vittoria di una borsa di coccodrillo nel caso avesse vinto l’ambito premio.
Nessuno sa se la borsa sia mai arrivata. Ma in onore della vittoria, l’amico Robert George disegnò un coccodrillo che fece trovare ricamato su uno degli indumenti del campione.
Insomma. A volte non è necessario perdere ore a scervellarsi davanti a un pc o a un foglio bianco.
Il progetto e l’idea del vostro prodotto è già nato da una filosofia che vi appartiene.
La risposta è nella semplicità di un messaggio che rappresenta o ha spinto tutta la vostra ambizione. E quando certe energie si muovono, spesso e volentieri basta una macchia di china che cade storta su un foglio per dare l’idea giusta.
All’interno di un logo non va inserito tutto. Bensì quella scintilla che vi appartiene e che nell’ansia della comunicazione, a volte, ci dimentichiamo di trasmettere.